Il Gringo
Lo chiamavano "Il Gringo" non ho mai saputo perchè, forse per i suoi tanti viaggi, forse per uno dei suoi tanti racconti, per me era il nonno Giovanni.
Lo ricordo seduto su una piccola sedia alla destra del pesante cancello che chiudeva la via d'ingresso al cortile, in quella fetta d'ombra che la casa di Lucia proiettava sulla piazza al centro del paese, davanti alla chiesa.
Chino in avanti, concentrato sul suo lavoro, abbracciava con mille premure quel manico di scopa. Sicuro e rapido nei movimenti, sembrava non avesse fatto altro fino a quel giorno.Con un grande ago che trascinava un robusto spago, cuciva la saggina a un sostegno fissato al manico di quella che sarebbe diventata una bellissima scopa.
La sigaretta sempre tra le labbra, con il fumo che gli faceva lacrimare gli occhi e lo costringeva a fermarsi in continuazione. Si comportava come se io non ci fossi.
I gomitoli di spago appoggiati su uno sgabello davanti a lui, messi in ordine di colore, come prevedeva il disegno che sarebbe poi dovuto comparire sulla scopa e un secchio alla sua sinistra con dentro i mazzi di saggina, erano tutto il suo laboratorio.Era burbero di carattere, ma preciso e ordinato nel suo modo di lavorare.
La stessa meticolosità la adottava quando si preparava le sigarette. Con un movimento lento, appoggiava la scopa in costruzione, al muro, accertandosi con un cenno del capo che niente avrebbe potuto danneggiare o sporcare l'opera d'arte che stava costruendo, poi dalla tasca estraeva il tabacco, le cartine, e i fiammiferi da cucina. Appoggiato il cartoccio del tabacco sul ginocchio destro, allargava la cartina sul palmo sinistro della mano, con un movimento attento depositava il tabacco su di essa e con la sicurezza data dall'esperienza, arrotolava quella che era diventata una sigaretta. Il passaggio del lembo della cartina sulla lingua umida la sigillava. Immancabile lo sputo verso terra, che serviva per liberare la lingua dalle briciole di tabacco che le erano rimaste attaccate.
Solo a quel punto alzava lo sguardo fissandomi e accennando un sorriso.Io lo ricambiavo con una smorfia di disgusto, immaginando quanto potesse essere amaro il sapore del tabacco.
Non ricordo molto di lui, poche le fotografie e nessuna che racconti i tanti viaggi che aveva fatto o che descriva i posti che aveva conosciuto. A quei tempi si girava il mondo alla ricerca di fortuna, e si ritornava senza soldi, senza salute e senza riuscire a dimenticare tutte le umiliazioni subite in quei viaggi della speranza. A lui era successo questo.
Deluso da tutto e da tutti, non era più riuscito a reintegrarsi in quella che era stata la sua famiglia. La sua caparbietà e l'arroganza nei suoi atteggiamenti riflettevano il dolore che portava dentro. L'aver imparato mille mestieri senza riuscire ad adottarne nessuno e l'essere tornato sconfitto, lo aveva trasformato. La sua battaglia continuava a combatterla contro tutti e soprattutto contro se stesso.
La sera preferiva cenare solo, in una stanza adiacente a quella dove noi stavamo a tavola. Io consumavo velocemente la cena, poi correvo da lui, e attraverso la nicchia ricavata sulla parete divisoria tra le due camere, dove era stata posta la stufa di terracotta lo osservavo e aspettavo. Aspettavo che dai suoi gesti comparisse un segno di diversità, quel qualcosa che lo rendeva speciale ai miei occhi. Lo rivedo quando aggiungeva il mezzo bicchiere di vino al piatto di pasta in brodo, quando per tagliare il formaggio estraeva dalla tasca un serramanico senza punta che terminata la cena puliva con la mollica di pane, ripiegava e poi metteva in tasca, quando nella vigna con lo stesso coltello faceva strani innesti, criticati da tutti ma che in futuro si sono rivelati, geniali, e innovativi, lo rivedo con il caratteristico cappello che portava, alla francese, tutto il suo modo di comportarsi lo rendeva diverso da quello che gli altri chiamavano un comportamento normale.
Ricordo quando lo vidi con i pantaloni rimboccati al ginocchio, che all'interno di una grande vasca di legno pigiava l'uva da lui stesso raccolta nella piccola vigna curata personalmente. Stupito, lo osservavo in silenzio. Sapevo che la mamma mi avrebbe sgridato, ma morivo dalla voglia di saltare in quella vasca. A lui era stato proibito frequentarmi. Ma quando uscì dalla vasca, mi venne incontro e dopo avermi tolto i sandali e lavati i piedi sotto il rubinetto con acqua corrente, mi mise sul cumulo più alto di uva nera e tenendomi per mano mi spiegò come dovevo fare, il mio cuore esplose di felicità. Gli schizzi di mosto sporcavano i pantaloncini corti che indossavo, ma questa preoccupazione presto venne meno perché nell'esternare la mia felicità per quello che mi stava succedendo, scivolai e caddi, ritrovandomi disteso all'interno della vasca. La mamma intervenne e fui allontanato. La lite che seguì tra lui e il resto della famiglia preferisco non ricordarla.
La statura media, i capelli grigi, impomatati e pettinati all'indietro lo rendevano un bell'uomo, con un aspetto triste.
Quando da quella maschera di dolore affiorava un momento di serenità, quando i fumi dell'alcol si disperdevano nell'aria e un sorriso compariva sul suo viso, m'illudevo che tutto potesse ricominciare e che la serenità ritornasse tra noi. Il giorno dopo l'illusione finiva. Il vino correva a fiumi, parolacce, insulti, e sul suo volto ritornavano la tristezza e il dolore di chi si sente un fallito.
Portava un fazzoletto legato al collo, come quello che ora usano i militari, indossava spesso una di quelle camicie che oggi chiamiamo da lavoro, e si radeva tutte le mattine nel cortile appoggiando il catino con l'acqua su un vecchio tavolino e appendendo una scheggia di specchio tra due chiodi che sporgevano dal vecchio muro.
Fu allontanato dalla famiglia per curare l'asma in un istituto specializzato, ma anche perché i rapporti erano degenerati al punto tale da essere irrecuperabili.
Il nonno Giovanni non fece più ritorno.
Non l'ho conosciuto abbastanza per esprimere un giudizio. Sentirmi dire che quando non beveva era una persona meravigliosa mi riempie di tristezza. Posso solo dire che quando penso a lui, sento dentro di me una parte di quel dolore che sempre lo accompagnava.