Cesare

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CESARE

Cesare con passo lento, gambe leggermente divaricate e braccia protese in avanti, cammiava cercando di mantenere l'equilibrio.

La sua veneranda età traspariva dal suo modo incerto di muoversi e dai tratti antichi del suo viso.

Raggiunta la vasca che tempo prima serviva da abbeveratoio per gli animali della corte, si appoggiò con la mano sinistra ad una vecchia fontana anch'essa in disuso, e ruotando su se stesso si sedette sul bordo di cemento.

In lontananza il sole stava per nascondersi dietro alla collina e una lieve brezza aiutava le foglie a staccarsi dagli alberi per compiere l'ultimo tratto della loro vita.

La campagna circostante aveva assunto i colori di una datata tavolozza e il cielo azzurro con nuvole bianche in continuo movimento, completavano il dipinto.

Era periodo di vendemmia, tutti di corsa, il trattore gommato, quello cingolato, la slitta per passare tra i filari, il rimorchio grande poi quello piccolo.

Com'era solito dire lui "un manicommio".

Il mondo era cambiato, ma che gli aveva fatto capire che quello non era più il suo tempo è stato quell'orribile mostro trainato dal trattore che serviva per raccogliere l'uva.

Una macchina che prendeva a schiaffi i filari e strappava gli acini dal grappolo.

Alzando gli occhi stanchi che spesso gli lacrimavano offuscandogli le immagini, rivide davanti a sé il grande cortile così come si era presentato a lui la prima volta che entrò in cerca di lavoro.

Il muro di cinta costruito con mattoni pieni che circondava tutta la fattoria e dava un senso di sicurezza e protezione, le mille pozzanghere, il fango che si attaccava alle scarpe che allora si toglieva passando le suole su quei ferri sporgenti dal muro accanto alla porta d'ingresso.

Il vecchio e pesante carro che i buoi trainavano a fatica e che veniva lasciato al coperto sotto al portico in fondo all'aia, vicino alla stalla.

Il mucchio di letame considerato indispensabile per concimare, che non faceva puzzare l'aria, ma che la profumava.

E in fine Arturo, l'asino chino sull'abbeveratoio che al suo arrivo si mise a ragliare forte, segnalando a tutti la presenza di un forestiero.

Ricordò che sentendo Arturo ragliare, Maria si sporse dalla finestra, ma accortasi dell'arrivo di Cesare subito accostò le persiane continuando però a sbirciare, con il cuore in gola.

La stessa Maria che sarebbe diventata in seguito sua moglie, madre dei suoi figli.

Con visioni in rapida successione, tutta la sua vita gli scorreva davanti.

Lui veniva dalla "piana", dove abitava con il padre in un paesino sulla riva sinistra del Po, il grande fiume.

Con il padre e con l'aiuto di due cavalli lavorava trascinando enormi chiatte galleggianti controcorrente.

Una volta giunte a destinazione, era compito suo scaricarle e consegnare le sementi alle fattorie della zona.

In uno dei suoi giri, mentre di fattoria in fattoria batteva le pianure della lomellina aveva conosciuto Maria che da mondina per quel breve periodo dell'anno lavorava in trasferta per la stagione del riso.

Si erano innamorati e lui le aveva promesso di sposarla.

Mantenendo la parola data, dopo poche settimane partì alla volta delle colline, in cerca di Maria e di una nuova vita, deciso a stabilirsi in oltrepò.

Non fu facile abituarsi al lavoro nelle vigne, coltivare la vite e produrre vino era più difficoltoso di quanto aveva creduto, ma l'amore per Maria pensò che valesse qualsiasi sacrificio.

L'uva veniva pigiata a piedi nudi, e solo una piccola parte del vino prodotto rimaneva poi ai contadini, la maggior parte finiva al proprietario dei terreni.

La vendemmia era l'ultimo dei sacrifici che si compivano per arrivare al mosto, nettare che in breve tempo si sarebbe trasformato in vino.

Era anche un periodo di festa perché arrivavano le donne dalla pianura per aiutare nella raccolta dell'uva e le dure giornate di lavoro sembravano meno pesanti e passavano più in fretta.

Le canzoni spiritose cantate a squarcia gola facevano dimenticare la stanchezza che si accumulava portando quelle pesanti ceste fuori dai filari con il solo aiuto delle proprie spalle.

La sera poi si faceva festa con balli e canti sull'aia vicino al fuoco.

Le persone che vivevano e lavoravano nell'azienda erano diventate come un'unica famiglia.

Alzando il capo, Cesare scorse i due anelli fissati sui pilastri sotto alla volta del portico, dove veniva appeso il maiale.

Quando si uccideva il maiale tutti partecipavano.

Le donne di buon'ora accendevano il fuoco nel mezzo della corte, mettendo a scaldare un'enorme pentola d'acqua.

Gli uomini affilavano i coltelli e i bambini correvano per l'aia godendosi quell'aria di festa e di prosperità che per qualche giorno si respirava.

Per ultimo arrivava da Casteggio Guido il macellaio, che conosceva tutti i segreti per preparare la pasta di salame che poi insaccava a regola d'arte nel budello.

Quanti ricordi.

Quando una volta l'anno andava al mercato del bestiame a Casteggio, la cosa che più lo divertiva era assistere alla contrattazione di compravendita degli animali, l'ostinazione e la furbizia dei compratori che sfidavano la diplomazzia e la scaltrezza dei venditori, allestendo un teatrino spassoso.

Si ricordò di quando all'alba s'incamminava lungo i sentieri del bosco Ceresino con la scusa di raccogliere funghi, ma in realtà andava per assistere allo spettacolo che gli regalavano i primi raggi di sole della giornata che fitrando dalle tremolanti foglie degli alberi e trafiggendo la nebbia del sottobosco, iniziavano con un crescendo di luminosità a dipingere l'autunno su quelle che erano diventate le sue colline.

Si considerava una persona fortunata per quello che la vita gli aveva riservato.

Quella mattina si era reso subito conto, appena alzato, che sarebbe stata una giornata speciale, infatti oltre al solito cappello e alla solita giacca che indossava ogni giorno da quando anziano aveva smesso di lavorare, aveva chiesto a Maria di aiutarlo a infilarsi il panciotto di velluto con l'orologio da taschino in argento che era stato di suo padre.

Alla fine della giornata mentre il cielo si tingeva di rosso, seduto sul bordo dell'abbeveratoio, sereno con le "sue" colline nel cuore sosirò soddisfatto con un accenno di sorriso sulle labra, appoggiò la schiena al muro sul fianco di quella vasca e chiuse gli occhi.

Mentre una foglia di mille colori staccata dal vento, si posò ai suoi piedi.                                                         

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